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La Deposizione dalla Croce
Commissionata dalla Confraternita di Santa Croce al cortonese Luca Signorelli
forse ancora entro il 1515, la tavola viene terminata nel 1516, data che compare
in basso a destra sulla cornice originale, inglobata successivamente nel grande
complesso ligneo intagliato nel 1611-12. Realizzata in un lasso di tempo molto
breve, mostra come il pittore fosse ormai a capo di una organizzata bottega, che
collaborava alle numerose commesse assegnate al maestro.
Il tema principale della tavola, la Deposizione dalla Croce, è qui inserito
dall'artista in un contesto più ampio, quasi un piccolo ciclo che illustra i
momenti salienti della Passione di Cristo. E' probabile che tale scelta sia da
riferire alla volontà della Confraternita, in seno alla quale il tema della
Passione era particolarmente sentito e fatto oggetto, ad esempio in occasione
delle festività pasquali, di vere rappresentazioni "teatrali" i cui
testi sono stati parzialmente tramandati. La lettura del dipinto può iniziare
in alto a sinistra, dove le tre croci piantate sul Golgota segnano il momento
della Crocifissione.
Si passa poi alla scena centrale, la Deposizione, cui assistono il gruppo delle
Marie, a sinistra, la Vergine già svenuta a terra, e la Maddalena, ai piedi
della croce, colta nel tenero e disperato gesto di raccogliere con la mano il
sangue di Cristo. Il gruppo si chiude a destra con la figura di San Giovanni, al
di sopra del quale si scorge l'ultimo momento del ciclo, con il trasporto del
corpo verso il sepolcro, durante il quale il Cristo, irrigidito dalla morte,
viene compianto dai suoi cari. I tre pannelli di predella, data l'intitolazione
della Confraternita alla Santa Croce, sono dedicati alla leggenda del
"Ritrovamento della vera Croce di Cristo", nella versione proposta da
un testo molto diffuso nel Medioevo, la "Legenda Aurea" di Iacopo da
Varagine.
Il primo episodio, (curiosamente il pittore lo inserisce nella tavoletta
centrale, sulla metà di destra) risale ai tempi del re Salomone, quando la
regina di Saba, sua ospite, per ispirazione divina si inginocchia ad adorare un
tronco di legno che fungeva da ponte presso un corso d'acqua. Quello stesso
tronco, molto tempo dopo, sarà utilizzato per costruire la croce di Cristo. La
narrazione, a partire ora dalla prima tavoletta di sinistra, prosegue con le
vicende legate all'imperatore romano Costantino (IV secolo d.c.) che, come gli
era stato suggerito in sogno, mette in fuga le armate di Massenzio grazie
all'esposizione di una croce d'oro.
Una volta "convertito", è sua madre Elena ad adoperarsi nella ricerca
della vera Croce (tavoletta centrale); ritrovata sul Golgota, quella di Cristo
viene riconosciuta rispetto alle altre due perchè, appena avvicinata ad un
ragazzo morto, miracolosamente lo resuscita. Il racconto si chiude con un fatto
avvenuto molto più tardi, nel VII secolo. Il re persiano Cosroe, conquistata
Gerusalemme, si appropriò della Croce, che viene recuperata dall'imperatore
Eraclio. Nella tavoletta di destra è raffigurato infatti l'ingresso trionfale
della Croce in Gerusalemme, portata dallo stesso Eraclio. L'accesso alla città
viene però impedito da un angelo, che invita l'imperatore a togliersi le vesti
ed i calzari ed entrare in umili spoglie, esponendo la sacra reliquia.
La vicenda artistica di Luca Signorelli
Luca Signorelli (Cortona, 1445/50 -1523 ) figura tra i protagonisti della fase
matura del Rinascimento, fase che coincide con i decenni finali del Quattrocento
e l'inizio del secolo successivo. Nella sua lunga carriera opera al fianco e in
competizione con i migliori artisti del momento (Perugino, Botticelli, Raffaello
e Michelangelo), facendosi portatore di uno stile personale, caratterizzato da
uno spiccato senso plastico e volumetrico. A determinare la fortuna del pittore,
è la capacità di esprimersi in un linguaggio comprensibile, allo stesso tempo
"monumentale" quanto "popolare".
Nasce artisticamente come allievo di Piero della Francesca, e gli insegnamenti
del pittore di Borgo Sansepolcro, oltre ad improntarne I' attività giovanile,
torneranno di frequente ben riconoscibili nelle opere più mature.
Non meno importanti saranno i contatti con l'ambiente di Urbino, ricco di
stimoli per la presenza di pittori ferraresi, maestri fiamminghi, e dei più
grandi architetti del momento, attivi intorno alla corte dei Montefeltro e al
nuovo Palazzo Ducale. Della notorietà di cui il pittore godeva già intorno al
1480, sono testimonianza ben due commissioni papali per volontà di Sisto IV; la
prima quando il pontefice lo chiama ad operare nella Basilica di Loreto, dove
lascia gli affreschi della Sacrestia di San Giovanni; la seconda quando è
invitato a far parte del gruppo di artisti impegnati nella grandiosa decorazione
della Cappella Sistina, sotto la regia del Perugino.
Nuovi stimoli il Signorelli troverà a Firenze, presso la corte di Lorenzo il
Magnifico, colto mecenate e animatore di quel circolo di filosofi, letterati e
artisti, che si riconoscevano nelle teorie filosofiche del neo-platonismo.
Terminata nel 1492 la parentesi fiorentina, l'attività del pittore graviterà
sempre più spesso in Umbria - notissima è la decorazione ad affresco della
Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto (1499-1504) - in particolare
stazionando nell'area altotiberina, che ne aveva visto gli esordi.
Qui, coadiuvato da una organizzata bottega, lascerà un cospicuo numero di opere
con le quali, a volte riproponendo soluzioni già ampiamente sperimentate, altre
offrendo proposte più originali, seppe comunque assicurarsi consensi di
pubblico e numerosi "imitatori".
La Pala del Pomarancio
La
tela, raffigurante la "Madonna col Bambino in gloria tra Angeli e
santi", proviene dalla attigua chiesa di San Francesco, da dove è stata
rimossa di recente per motivi di conservazione. In basso a sinistra si legge la
firma dell'artista, Niccolo Circignani "de Pomarancio", mentre
sull'angolo opposto è la data di esecuzione, il 1577, ed il nome del
committente, Cristoforo Martinelli.
Nel gruppo della "Vergine col Bambino" Pomarancio riprende da vicino
un'opera di un illustre collega, il pittore parmense Parmigianino, realizzata a
Roma tra 1526 e 1527 per Maria Bufalini (membro dell'importante famiglia
tifernate), ed arrivata solo più tardi a Città di Castello (in Sant'Agostino,
ora emigrata a Londra).
Del pittore parmense, Pomarancio coglie anche qualche nota di stile, come la
tendenza ad allungare le figure; basti guardare il Bambino, slanciato ed
elegante nelle movenze, ma, rispetto al sofisticato linguaggio di Parmigianino,
più "naturale" nei sentimenti, esternati nel sorriso dolce ed
affettuoso. In basso, i santi che assistono alla scena sono ben riconoscibili
grazie ai loro consueti attributi iconografici. Il primo da sinistra è
sant'Andrea apostolo, con la grande croce sulla quale subì il martirio. Anche
il san Biagio che lo affianca, in abito vescovile, tiene in mano lo strumento
con cui fu torturato, un pettine usato dai cardatori di lana. Segue il santo
titolare della chiesa, san Francesco, con le stimmate, mentre l'ultimo
personaggio a destra è san Sebastiano, martirizzato a colpi di freccia.
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